Gli sconfitti – Rimpianti

Giunsi a casa di mia sorella dopo un rilassante viaggio di due ore in treno. Amo viaggiare in carrozza, sferzando a gran velocità il paesaggio che contemplo fin nel profondo. Mi ricorda la giovinezza. Quando, poco più che ventenne, trascorrevo sul treno regionale N. – Roma Termini una buona parte della mia giornata, per raggiungere l’università. Per questo motivo intraprendo sempre con grande entusiasmo uno spostamento ferroviario. Con grande entusiasmo e altrettanto dolore, ovviamente.
Il ricordo riesuma infatti il passato e tutto quel tempo perduto per sempre, provocando nient’altro che una profonda mestizia. È inevitabile.
Allora, studente universitario pendolare, trascorrevo il viaggio quotidiano sperando di vedere sedermi dinanzi una graziosa donna da osservare come una preziosa e magnifica opera d’arte. Quando questo accadeva, un tripudio di gioia e di emozioni mi inondava il cuore purpureo e pulsante. Afferravo carta e penna e, trasportato dai capelli, dal volto e dalle forme sinuose della sconosciuta Musa, componevo poesie in suo onore e mi crogiolavo nel sogno di un amore impossibile.
Oggi, sedendomi su di un vagone, anelo alla stessa, miracolosa apparizione, ma la mia reazione non è più la stessa. Sarà perché ho vent’anni di più, non scrivo più versi e non sogno più amori. Semplicemente osservo, osservo senza creare più nulla. Perché la vita, scorrendo e invecchiando gli uomini li cambia, il più delle volte in peggio, e ben poco si può contro questo processo.
Nulla è invece cambiato quando a sedermi di fronte non è un’avvenente donna, bensì un uomo. Furente maledico sua madre per averlo messo al mondo. Incollerito sbuffo, borbottando incomprensibili invettive contro il povero malcapitato.
In quel viaggio per andare a trovare mia sorella, non potei che ritenermi soddisfatto. Per tutti i centoventi minuti della traversata ferroviaria, potei godere in piena libertà della maestosa bellezza di un magnifico esemplare femminile di mezza età, dai capelli bruni e dalle forme generose. Incontrai un paio di volte il suo sguardo abbagliante in cui sfavillavano due accecanti occhi neri. Un paio di volte tremai… Ci lasciammo senza scambiare neppure una sola parola, ma con un reciproco sorriso. Mi accontentai, e tanto mi bastò per affrontare il resto della giornata con minore indolenza. D’altronde, la bellezza mi aveva sorriso, perché osare di più?
Gli anni mi hanno insegnato ad accontentarmi. Non ero temerario da ragazzo, quando era il trionfante impeto giovanile a sostenermi, figurarsi dopo aver fatalmente varcato la soglia dei quarant’anni, diretto a gran velocità tre le flaccide braccia della vecchiaia più rugosa che mai.
Da circa un anno mia sorella era sposata. Sposata con un uomo onesto, gran lavoratore e innamorato, di conseguenza premuroso e devoto nei suoi confronti. Certo, non un uomo troppo brillante né un intellettuale. Ma, ditemi voi, quanti uomini intellettuali e brillanti si ha la fortuna di conoscere al giorno d’oggi? Non molti, anzi.
Da poche ore mia sorella era divenuta madre, ecco il motivo della mia visita. Madre di mia nipote. Dopo nove, lunghi e faticosi mesi di gravidanza, finalmente la piccola Lucia si era mostrata al mondo.
«Non credo sia mai esistito un pittore in grado di rappresentare una scena simile trasmettendo tutta, ma proprio tutta la fulgente bellezza che possiede».
«Ne sei proprio sicuro, caro zietto?».
«No. Ma non importa. Siete davvero bellissime insieme».
«Com’è andato il viaggio?».
«Bene, anzi, benissimo. È stato tanto doloroso il parto?».
«Meno di quanto immaginassi. Ben poca cosa è il dolore fisico rispetto alla felicità di mettere al mondo un figlio. Tu, piuttosto, perché non hai mai voluto avere figli? Ricordamelo, perché in questo momento della mia vita mi sembra la cosa più assurda e insensata del mondo».
Risposi che, prima di tutto, non avevo mai trovato, fino ad allora, la donna giusta. Poi espressi tutte le perplessità riguardo le mie capacità di sostenere una simile responsabilità.
«Caro fratellino, non puoi neanche immaginare a quale gioia ti sottrai. Guarda tuo cognato. Dalla nascita di Lucia, due notti fa, ha disimparato a camminare. È capace solo di volare almeno un metro da terra. Me lo ripete in continuazione».
«Certo… Posso immaginarlo. Gioie come questa sono le ali più forti… Almeno credo…».
Preso dall’urgente bisogno di tabacco, uscii di casa un momento per fumare una sigaretta.
Iniziai a riflettere. Ben presto fuggii dalla realtà per immergermi nell’universo della riflessione.
Poco prima avevo mentito a mia sorella. Non era vero che se non avevo avuto figli, era perché non avevo mai trovato la donna adatta, né perché temevo di non essere all’altezza del compito. La verità era un’altra.
Non volevo figli per non gettare altre povere e innocenti creature, altre povere e innocenti vite, nel crudele calderone di dolore e morte che è il mondo. Mettere al mondo un bambino, lo reputo un atto di egoismo. Aver commesso tutti i crimini, tranne quello di essere padre… [1]
Ma come potevo turbarla con un tale pensiero? Lei, neomamma radiosa. Per questo avevo mentito.
Cominciai a riflettere sull’esistenza di mia sorella. Un’ottima carriera lavorativa, ogni fine mese impreziosita da un ottimo stipendio. Un compagno di vita devoto e davvero innamorato. Una casa grande, arredata con gusto. E da due giorni anche una figlia. Un’esistenza invidiabile.
La stessa esistenza che io avevo rifiutato. Una carriera lavorativa bruciata. Un partner femminile stabile assente, solo qualche brevissima, oltre che sporadica relazione nient’altro che sessuale. Una fatiscente stamberga stracolma di parole.
Tra le due esistenze non c’era confronto. Quella di mia sorella gettava kappaò la mia alla prima ripresa. Eppure non avevo intenzione di cambiarla. Perché? Perché la mia esistenza rappresentava, e ancora oggi rappresenta, quello che sono. E non possiamo cambiare il nostro io. Mai. Noi uomini non possediamo questa libertà.
La settimana da mia sorella trascorse in fretta. Sul treno di ritorno rimembrai, come su quello di andata, ancora la giovinezza, e una sottile e splendente soddisfazione mi avvolse, quando una giovane fanciulla dai lunghi capelli rossi si sedette davanti a me, scusandosi sorridente di aver accidentalmente urtato il suo ginocchio bianchissimo e scoperto contro il mio.

NOTE

[1] Emil Cioran, L’inconveniente di essere nati, 1973.

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Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

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